domenica 28 marzo 2010

IL FERRO OCEANICO PROVIENE DAI VULCANI SOTTOMARINI

I vulcani sottomarini sono la fonte di ferro oceanica

Un gruppo di scienziati australiani e francesi hanno mostrato per la prima volta che i vulcani sottomarini sono una fonte importante del ferro nell'oceano. La ricerca pubblicata su Nature Geoscience, dimostra dunque il ruolo fondamentale dei vulcani nell’omeostasi delle acque degli oceani, perche questo elemento è un nutriente limitante per il fitoplancton.


In seguito ad un lavoro pionieristico nel 2008, gli scienziati hanno fatto le prime misurazioni della concentrazione di ferro disciolto nel profondo Southern Ocean a profondità di fino a quattro chilometri sotto la superficie. Lo studio indica che la quantità di ferro che proviene dai vulcani sottomarini è relativamente costante nel tempo e da essa dipende lo stoccaggio del 5-15% (in alcune zone fino al 30%) del carbonio nell'Oceano meridionale.



Ciò significa che i nutrienti emessi da un vulcano possono agire come cuscinetto quando altre fonti, come la polvere, variano. Gli scienziati hanno scoperto che molta dell'acqua ricca di ferro raggiunge la superficie vicino all'Antartide, provocando in quella zona la fioritura del fitoplancton.

“Numerosi studi hanno già indicato che i vulcani sottomarini rilasciano ferro”, riferisce Andrew Bowie, uno degli autori della ricerca e dirigente scientifico presso il Centro di ricerca sul clima e sugli ecosistemi cooperativi antartici di Hobart, in Tasmania. "Ma nessuno studio lo ha considerato a livello globale e ha considerato la sua importanza sullo stoccaggio di carbonio nell'Oceano meridionale".


Bowie ha detto che non è ancora chiaro in che modo il cambiamento climatico influisca sulla quantità totale di ferro che arriva in superficie. Alcuni studi indicano che venti occidentali più forti che soffiano sulla superficie dell'oceano vicino all'Antartide trascineranno maggiori quantità di acqua ricca di ferro in alto, alimentando una maggiore crescita di fitoplancton e anche una maggiore cattura di CO2.



Riferimenti: http://www.nature.com

venerdì 26 marzo 2010

ANNIE LEONARD SVELA ALCUNI PARTICOLARI DELL'ACQUA IN BOTTIGLIA

Quanti disonesti messaggi in ogni bottiglia!


26-03-2010 13:06

Annie Leonard, l’attivista americana famosa per aver prodotto il video animazione “The story of stuff” in cui vengono svelati gli altarini dell’insostenibile modello di consumo occidentale, lancia una nuova importante campagna contro l’utilizzo dell’acqua in bottiglia con un efficace video che mette in luce tutti gli aspetti critici del business dell’acqua imbottigliata. Una sequenza di messaggi per far riflettere sul fatto che il cambiamento di qualche piccolo nostro gesto può determinare un notevole impatto positivo su ambiente e salute.



Negli USA si compra mezzo miliardo di bottiglie d’acqua alla settimana. Per avere una vaga idea di quante possano essere basta pensare che mettendole una in fila all’altra si può tracciare cinque volte la circonferenza della Terra! Come riescono le aziende a creare una tale dipendenza dall’acqua imbottigliata? L’arte sta nel costruire e indurre, con campagne subdole e disoneste, un bisogno irreale nei consumatori.



Come è possibile che le persone comprino l’acqua confezionata quando è praticamente gratis quella che esce dal rubinetto? Per indurre la domanda le campagne pubblicitarie fanno leva sull’insicurezza e il senso di inadeguatezza di chi non possiede lo specifico prodotto, che viene percepito come assolutamente indispensabile, grazie anche alla parallela demolizione dell’immagine dell’acqua dal rubinetto, rappresentata come qualcosa di malsano, poco gradevole e… fuori moda.



L’insidiosa manipolazione della percezione mira a nascondere la verà identità del prodotto associandolo a immagini di natura incontaminata, sorgenti purissime in una cornice di montagne verdeggianti. La realtà è, però, tutt’altra cosa: un terzo delle marche di acqua in bottiglia negli USA sono banalissima acqua di rubinetto filtrata! Dai test effettuati su un campione di consumatori americani risulta, inoltre, che l’acqua “del sindaco” ha un sapore migliore, oltre ad essere, in generale, più controllata di quella in bottiglia nonostante il costo 2.000 volte superiore!



In una rivista che tratta di alimentazione la Nestlè ha dichiarato che l’acqua in bottiglia è il prodotto di cunsumo più sostenbile dal punto di vista ambientale al mondo. Niente di più scorretto e ingiustificato, a fronte di un ciclo di vita che inquina pesantemente l’ambiente lungo tutte le sue fasi.



Ogni anno negli USA per la produzione delle bottiglie di plastica vengono impiegati tanta energia e petrolio da poter alimentare un milione di automobili. Altrettanta energia è poi utilizzata per trasportarla in tutto il mondo, a fronte di una fase di utilizzo di solo qualche minuto prima di essere gettata via.



Il secondo grande problema è proprio lo smaltimento di tutte le bottiglie usate. Dove vanno a finire? A differenza di quanto si possa immaginare ben l’80% è destinato alla discarica dove giacerà per migliaia di anni, una parte viene bruciata negli inceneritori, producendo inquinamento e sostanze tossiche, e solo una minima parte viene di fatto riciclata.



Che strada prendono, quindi, le bottiglie che differenziamo nell’apposito bidone? Annie Leonard ha seguito le navi cariche di bottiglie schiacciate dirette in India e ha visto con i suoi occhi un desolato paesaggio di montagne e montagne di bottiglie provenienti dalla California. Solo in piccola percentuale le bottiglie godranno di una seconda vita. Per il resto in parte vengono semplicemente sminuzzate, per ridimensionarne il volume, e destinate nuovamente alla discarica, in parte vengono spedite nel “cortile” di qualcun altro, ad esempio, appunto, degli indiani. Se le compagnie fossero oneste dovrebbero in realtà rappresentare montagne di bottiglie dismesse nell’etichetta del loro prodotto.



Le compagnie vogliono far credere che l’acqua di rubinetto sia inquinata. Questo è vero in molti paesi, grazie anche a industrie come quella delle bottiglie in plastica. Dove non ci sono problemi sanitari ed igienici è fondamentale usare acqua di rubinetto e fare pressione perché maggiori investimenti vengano destinati alla rete di distribuzione pubblica. Negli USA le infrastrutture sono sotto finanziate di ben 24 miliardi di dollari, anche perché la gente pensa che sia potabile solo quella imbottigliata. Al mondo c’è un miliardo di persone che non ha accesso all’acqua potabile perché una gran quantità di risorse è destinata alla produzione di bottiglie in plastica che poi gettiamo via in pochi minuti. E se invece destinassimo quei soldi al miglioramento della rete di distribuzione o alla prevenzione dell’inquinamento?



Ci sono molte altre cose, sostiene Annie Leonard, che possiamo fare per risolvere questo problema: riprendere a bere l’acqua dalle fontane, far bandire i distributori e l’acqua in bottiglia dalle scuole e dalle organizzazioni. È un’opportunità per milioni di persone per prendere consapevolezza e scegliere di proteggere il loro portafoglio, la loro salute e l’intero pianeta.

giovedì 25 marzo 2010

L'ACQUA ENERGIA DEL FUTURO

L'acqua è il carburante del futuro


Dai laboratori del Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston un innovativo sistema per fornire energia: imitando la fotosintesi tipica delle piante, il chimico Dan Nocera dimostra come sia possibile alimentare tutti i dispositivi della casa utilizzando solo pannelli solari e acqua.



Parlando all'Aspen Environment Forum ha rivelato una tecnologia pulita e semplice da attuare. Il suo team ha realizzato un elettrolizzatore utilizzante cobalto e fosfato di potassio, che viene alimentato con l’energia fornita da un semplice pannello solare di 6 metri per 5.



L’energia catturata dal calore del sole viene utilizzata per scindere le molecole di acqua in idrogeno e ossigeno gassosi. Con soli 5 litri di acqua sarebbe possibile ottenere energia sufficiente al fabbisogno di una abitazione.



Il sistema supera il limite stesso dell’energia solare, ovvero, il suo immagazzinamento. In quattro ore, afferma Nocera, l'acqua trattata con il catalizzatore è in grado di produrre 30 kW di energia. Tale processo, entro dieci anni, sempre secondo il chimico del MIT, potrebbe essere utilizzato in tutte le abitazioni dotate di pannelli fotovoltaici.



Esso, inoltre, rispetto ai sistemi sperimentati negli anni ’70, è meno costoso e meno dannoso. Gli scienziati, infatti, già in quegli anni avevano provato a replicare la fotosintesi biologica per produrre energia, ma le sperimentazioni condotte utilizzavano alte temperature, soluzioni alcaline pericolose per l’ambiente e per la salute, e tecnologie costosissime come i catalizzatori di platino. Alla domanda: "Ma l'idrogeno non è pericoloso?", lo scienziato ha risposto: "Non di più del gas che arriva in tutte le comuni abitazioni!" .



Riferimenti: http://spectrum.mit.edu

venerdì 12 marzo 2010

FOTOCATALISI PER TRATTARE ACQUE INQUINATE

Fotocatalisi per “ripulire” le acque dei fiumi inquinati

Non vi è dubbio che la fotocatalisi vada assumendo un ruolo sempre più primario nei processi biologici e nelle attività di controllo ambientali. Infatti, il bisogno di un ambiente più pulito e di una migliore qualità della vita esortano a pensare ad un uso eco-compatibile della luce e del sole ed in questo contesto la fotochimica potrebbe trasformarsi in una soluzione molto interessante tanto da diventare parte integrante della strategia mirante a ridurre l’inquinamento ambientale attraverso l’uso di fotocatalizzatori.


Negli ultimi anni l’interesse scientifico e tecnico per le applicazioni della fotocatalisi è cresciuto esponenzialmente. Più di duecento studi per anno vengono pubblicati nel solo settore del trattamento di aria e acqua. Ed è in questo contesto l'istituto di Chimica inorganica e delle superfici del Cnr insieme ai tecnici della Fondazione fenice Acegas e Conune di Padova stanno lavorando alla sperimentazione di una moderna tecnologia che prevede l’uso del biossido di titanio contro l'inquinamento dell'acqua.


Il TiO₂ è notoriamente attivo nei processi fotocatalitici a scopo fotodegradativo: i risultati di sperimentazioni ed applicazioni mirate a ridurre l’inquinamento ambientale hanno permesso di concludere che materiali trattati con Tio2 e irradiati con luce solare e/o artificiale, mostrano un'elevata efficienza nell’ossidare sostanze organiche e inorganiche (NOx; SOx; NH3 (gas); Clorurati organici; Acetaldeide; Formaldeide).

L’esperimento che sarà a condotto a Padova per "ripulire" le acque insalubri del fiume Roncajette. L'obiettivo finale è quello di realizzare un impianto pilota con filtri al titanio da porre a valle del depuratore di Ca' Nordio. Il Roncajette è il tratto finale del fiume Bacchiglione, che lambisce il territorio a sud est di Padova, prima di confluire nel Brenta e quindi nell'Adriatico.

"Attualmente stiamo predisponendo test per la verifica della sua attività rispetto a inquinanti reali – spiega Gilberto Rossetto dell´Icis-cnr – e in sistemi in condizioni di flusso continuo. Se anche in questa fase i risultati saranno positivi, il principio potrà essere applicato su scala industriale. Il progetto prevede, infatti, la collocazione di un impianto pilota, costituito da filtri speciali a valle del depuratore di Ca´ Nordio, auspicando anche la realizzazione di economie di scala sulle spese di gestione". "Si tratta di un progetto di riqualificazione delle acque – commenta l´assessore Mauro Bortoli – che si inserisce nel più ampio disegno di implementazione del sistema fognario e della rete idrica padovana. Un tema complesso e prioritario per la città che anche la tecnologia e la ricerca, come in questo caso, possono contribuire a risolvere".

mercoledì 3 marzo 2010

NEL FIUME LAMBRO ORA ANCHE IL PETROLIO

Fiume Lambro: ci mancava il petrolio

Il Fiume Lambro rappresenta da decenni una delle principali sorgenti di inquinamento antropico lungo il corso del Fiume Po. Gli studi condotti dall’Istituto di Ricerca Sulle Acque (IRSA)-CNR fin dalla metà degli anni settanta hanno contribuito prima ad identificare e poi a quantificare il fenomeno, fissando per il Lambro in circa il 30% il contributo al carico totale di inquinanti che viene veicolato dal grande fiume padano nel Mare Adriatico.



La pressione urbana, industriale ed agricola di uno dei territori più sviluppati dell’Europa sono la causa dello stato di degrado elevato delle acque, che nei recenti due decenni ha visto crescere l’attenzione degli Enti gestori anche a seguito dell’adeguamento normativo alla Direttiva Quadro sulle Acque, adeguamento a cui l’IRSA ha fornito un contribuito rilevante per lo sviluppo delle metodologie per la classificazione della qualità ecologica.



Nel tratto a monte della città di Milano a partire dalla metà degli anni ottanta prima il depuratore di San Rocco, della attuale ALSI (Alto Lambro Servizi Idrici), poi il depuratore di Merone, dell’ASIL (Azienda Servizi Integrati Lambro), hanno contribuito a determinare un recupero significativo delle acque del Fiume Lambro, con presenza di fauna ittica, miglioramento della biodiversità della fauna bentonica e ad un aspetto visivo più accettabile delle acque.



Un analogo sforzo gestionale è stato realizzato in quest’ultimo decennio anche a valle di Milano, con la costruzione/ampliamento degli impianti di depurazione di Nosedo, Milano San Rocco e di Peschiera Borromeo, raggiungendo nel 2005 l’obiettivo di trattare la totalità delle acque reflue della metropoli lombarda.



La situazione alle soglie del secondo decennio di questo secolo dava segnali di speranze positive rispetto alla situazione di massimo degrado delle acque raggiunto nel passato, nonostante le difficoltà a raggiungere ancora livelli qualitativi accettabili. In questo contesto si viene ora a inquadrare il problema dello sversamento nel Lambro di una notevole quantità di petrolio e di oli combustibili verificatosi lo scorso 23 Febbraio.



Nonostante che l’impatto sull’ecosistema fluviale sia stato in parte attenuato dall’aver “sacrificato” l’impianto di depurazione dell’ALSI, in cui è stata trattenuta una parte rilevante dei prodotti petroliferi pervenuti attraverso il collettore consortile, la grande quantità di idrocarburi in gioco determinerà un significativo impatto per un certo tempo sulla fauna fluviale. Una situazione solo in parte alleviata dalle portate del fiume in queste settimane, dovute al lungo periodo piovoso che caratterizza questo inverno. In un corso d’acqua, infatti, portate elevate determinano la mobilizzazione degli oli pesanti eventualmente depositatisi sul fondo, mentre quelli più leggeri vengono maggiormente dispersi incrementando i problemi alle biocenosi acquatiche sensibili alla tossicità degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), degli idrocarburi alifatici e degli altri inquinanti più o meno solubili largamente presenti nei prodotti petroliferi riversati nel Lambro. La situazione idrologica attuale del Po può quindi favorire l’attenuazione del fenomeno acuto, ma non necessariamente attenua il problema dell’impatto a lungo termine sull’ecosistema. L’accumulo di idrocarburi nei sedimenti, infatti, potrà rappresentare una sorgente di esposizione a sostanze tossiche per un periodo molto lungo.



Analizzando il problema dell’impatto nel contesto del bacino idrografico padano, le preoccupazioni devono però distinguersi in effetti ecologici sul Po ed effetti sanitari per l’uso potabile delle acque nella parte terminale del suo percorso. Se è difficile, in questo momento in cui l’emergenza è ancora in atto, identificare tutte le differenti e possibili conseguenze ambientali, perché ciò richiederebbe una definizione della reale distribuzione dell’onda di idrocarburi lungo il corso del Po, che non è ancora disponibile, vi è comunque un aspetto che richiede attenzione perché sarà un impatto inevitabile per il Mare Adriatico, l’ecosistema recettore finale. L’interruzione per alcune settimane della operatività dell’impianto ALSI di San Rocco determinerà, infatti, lo sversamento non depurato dei reflui urbani di circa settecentomila abitanti, con la formazione di un carico in eccesso di nutrienti che giungeranno alla foce del Fiume Po in un momento, l’inizio della primavera, durante il quale si hanno le prime fioriture algali, generalmente diatomee, che danno inizio ai naturali cicli stagionali. Esiste quindi una certa possibilità che si possano verificare situazioni di fioriture al di fuori della norma, con conseguenze anche sull’ecosistema marino prospiciente la foce del Po.



Come si vede, le conseguenze di un atto criminale come quello avvenuto a Villasanta, nella provincia di Monza e Brianza, cioè in posizione centro occidentale del bacino idrografico del Po, avrà conseguenze complessive su tutto l’ecosistema sulla cui portata c’è ancora molto da capire. Si possono invece fin da ora considerare le conseguenze a livello sociale, poiché rovesciare intenzionalmente quella quantità di petrolio nel fiume Lambro è più di un reato, è una tragedia culturale ben difficilmente sanabile.

lunedì 1 marzo 2010

RECUPERARE ACQUA DALLA ATMOSFERA

I giardini di nebbia di Atacama




Un gruppo di studenti dell’Università Tecnica Federico Santa María in Cile ha studiato strutture e tecnologie che consentono di recuperare acqua dall’atmosfera nelle regioni aride. Le strutture inventate si chiamano “Tardonaturalezas Textiles” e sono destinate al deserto di Atacama.



(31-01-2010) Quando da noi in estate non piove, le centrali elettriche devono ridurre la loro produzione perché manca l’acqua per la refrigerazione. In altre regioni del mondo, la mancanza d’acqua crea ben altri problemi. Negli anni 2008 e 2009, un gruppo di studenti dell’Universidad Técnica Federico Santa Maria del Cile ha studiato il problema e ha sviluppato strutture e tecnologie che consentono di recuperare acqua dall’atmosfera nelle regioni aride.



Le strutture inventate sono state chiamate “Tardonaturalezas Textiles”, che può essere tradotto come “tessili tardo-naturali” e sono destinate al deserto di Atacama, una regione con un clima particolarmente estremo.



Nel deserto di Atacama si può ammirare uno spettacolo naturale unico: durante le prime ore della mattina, sotto le cime delle montagne, si formano delle nebbie che rimangono poi prigioniere nelle vallate fornendo alle piante la necessaria umidità. Il fenomeno si chiama “camanchaca” ed è particolarmente impressionante visto dal fondo marrone-rosastro della sabbia. Non resta però molta umidità e la rugiada non è sufficiente a far sopravvivere la già scarsa flora.



Il seminario, organizzato nel 2008 dall’Universidad Técnica Federico Santa Maria, ha pertanto avuto per tema la progettazione dei cosiddetti “Acchiappanebbia” o “Acchiapparugiada”. Il particolare di queste costruzioni è che sono multifunzionali. Non raccolgono solo la rugiada, ma si adattano anche al loro ambiente come organismi. Le strutture progettate si adattano gradualmente alle condizioni di umidità e sono in grado di bilanciare o di accelerare i dinamici processi microclimatici.



Gli studenti hanno sviluppato sei differenti prototipi di strutture tessili, che hanno raggruppato in un campo sperimentale presso il centro di ricerca di Atacama distante circa 60 chilometri a sud dalla città di Iquique. Questi impianti sono stati battezzati “giardini di nebbia”. I tessili usati dagli studenti sono le cosiddette “reti Rashell“, un tessuto speciale che fa passare i raggi UV e l’umidità e che trova applicazione come filtro e in serre per raccogliere la rugiada. Queste reti sono sorrette da costruzioni metalliche. Le strutture degli “Acchiappanebbia” non sono solo funzionali: gli studenti sono riusciti anche a conferire a ogni prototipo una forma individuale che si ispira alle strutture della natura. Così si trovano forme che ricordano ragnatele, rampicanti, insetti e cristalli.



Nel 2009 è stato organizzato un secondo seminario intitolato “Infrabotanicas Textiles”. L’obiettivo di questo seminario era non solo quello di assorbire umidità dall’aria mediante le “Acchiapparugiada”, ma anche promuovere la crescita della vegetazione locale. Così si è sperimentato un altro processo. Le strutture non raccolgono solo l’umidità che inumidisce la terra, ma evitano anche l’evaporazione e l’erosione del terriccio affinché le piante possano attecchire. Anche questo sistema è stato sperimentato nell’orto botanico del centro di ricerca di Atacama.



La galleria fotografica mostra alcune immagini delle strutture ideate dagli studenti dell’Universidad Técnica Federico Santa Maria.

PFAS COME EIMINARLI DALL'ACQUA POTABILE

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