lunedì 26 aprile 2010

UNA FALDA DI ACQUA DOLCE IN AMAZZONIA GRANDE COME IL MEDITERRANEO

Trovata in Amazzonia una falda acquifera grande come il Mediterraneo


È stata scoperta in Amazzonia una falda acquifera contenente 86 mila chilometri cubi di acqua dolce, la più grande mai conosciuta, paragonabile per dimensioni al Mar Mediterraneo. La falda, la cui scoperta è stata annunciata dai ricercatori dell'università del Parà, è costata trent'anni di studi, trivellazioni, scavi e test, spesso in luoghi di difficilissimo accesso. Le rilevazioni confermano che essa si trova sotto gli stati amazzonici di Parà, Amazonas e Amapà, lungo quindi il corso del Rio delle Amazzoni e alcuni suoi affluenti. Nei pressi di Manaus (che dal deposito estrae il 40% del suo fabbisogno di acqua potabile), la falda affiora quasi in superficie, con forti rischi di inquinamento.



Il deposito, che probabilmente sarà battezzato “Grande Amazonia”, è ancora più grande di quelli nel sottosuolo della Russia e dell'Australia finora considerati i più vasti al mondo. Nel sottosuolo del Brasile si trova già gran parte del cosiddetto “Acquifero Guaranì”, terza riserva mondiale di acqua dolce con 45 mila chilometri cubi di acqua che però è stata gravemente inquinata dalle colture intensive in superficie.



La falda nel sottosuolo degli Stati Uniti, che si estende dall'Arizona al Texas su un'estensione pari a quella del Mar Mediterraneo, è ormai ridotta ad un quinto della sua portata iniziale, per eccesso di sfruttamento, e potrebbe esaurirsi già nel giro di alcuni decenni, come hanno denunciato numerose organizzazioni ambientali come Conservation Intenational, con gravi conseguenze per il fabbisogno idrico americano.



Il Brasile diventa così “l'Arabia Saudita dell'acqua” per il futuro del pianeta. Adesso l'equipe di ricercatori guidata dal geologo Milton Matta cercherà di stabilire il ritmo di afflusso dell'acqua alla falda e la sua capacità di ricambio, per stimare quanto se ne può prelevare senza correre lo stesso rischio di inquinarla.

DALL'UNIVERSITA' DI TEL AVIV NUOVI SVILUPPI DELLA DISINFEZIONE DELL'ACQUA CON RAGGI ULTRAVIOLETTI

Niente più cloro per il trattamento delle acque

I trattamenti comunemente in uso attualmente per rendere l’acqua potabile utilizzano il cloro, sostanza capace di disattivare la maggior parte dei microorganismi e relativamente poco costosa. Il cloro produce però sottoprodotti cancerogeni. Gli scienziati dell'Università di Tel Aviv hanno messo a punto un nuovo impianto che utilizza invece la luce ultra-violetta (UV).



I ricercatori dell'università' israeliana sono riusciti a stabilire la “lunghezza d'onda ottimale” dei raggi UV per mantenere l'acqua pulita da microrganismi. Una scoperta importante che permetterà, affermano gli studiosi, di creare nuovi impianti più efficienti per il trattamento delle acque e per la desalinizzazione senza che vengano utilizzate sostanze chimiche, come il cloro, che possono rivelarsi a lungo andare cancerogene per l'uomo.



“L'irradiazione della luce UV è sempre più utilizzato come processo primario per la disinfezione dell'acqua- ha affermato Anat Lakretz, ricercatore alla Tau's School of Mechanical Engineering dell'università' di Tel Aviv - Nel nostro recente studio, abbiamo dimostrato come il trattamento può essere ottimizzato per uccidere i batteri che nuotano liberamente nell'acqua, gli stessi che si conficcano nelle tubazioni e, creando dei biofilm batterici, intasano i filtri degli impianti di desalinizzazione “.



I ricercatori, esaminando le lunghezze d'onda dei raggi UV nella scala tra i 220 e i 280 nanometri (nm), hanno sottolineato che i raggi con una lunghezza d'onda compresa tra i 254 e i 270 nm hanno “un'efficace capacità” di pulizia dell'acqua: lampade speciali, che emettono uno spettro multi lunghezza d'onda, sono così in grado sia di mantenere le membrane degli impianti prive di batteri, che contro alcuni parassiti molto nocivi per la salute umana, come Giarrdia e Cryptosporidium, che non vengono distrutti dal normale trattamento al cloro.



Riferimenti: http://www.aftau.org/site/News2?page=NewsArticle&id=12087

mercoledì 21 aprile 2010

ARSENICO E PH 11 NEI LAGHI DELLE ANDE

I laghi velenosi delle Ande

Elevate concentrazioni di arsenico disciolto nelle acque di alcuni laghi vulcanici sulle Ande, non hanno impedito a fenicotteri e colonie di batteri di popolarli. I ricercatori National Scientific and Technical Research Council di Tucumn, in Argentina hanno trovato sulla laguna Diamante all'interno del cratere del Cerro Galan, un vulcano tuttora attivo a 4600 metri dal livello del mare.


Le acque e le sue sponde sono abitate nonostante le condizioni molto ostili' dell'area: una fiorente stuoia di microbi vive nelle acque super alcaline della laguna e divengono il cibo per la colonia di fenicotteri. La ricerca è stata pubblicata su Nature.



La laguna, spiegano i ricercatori, ha un ph molto alcalino, ph 11, e contiene cinque volte di più il livello di sale dell'acqua marina. Inoltre la concentrazione di arsenico è superiore di 20.000 volte rispetto al livello considerato sicuro dall'Environmental Protection Agency e, essendo situato ad un'altezza di 4600 metri, i livelli di ossigeno sono bassi e gli ultravioletti più forti del normale. Queste condizioni rendono 'molto ostile e difficoltosa' la vita nella zona.
"Per questo motivo - ha affermato la ricercatrice Mara Eugenia Faras - Gli organismi scoperti, che sono esposti a Arsenico e gas velenosi, potrebbe far luce su come è iniziata la vita sulla terra, e inoltre la loro resistenza a condizioni estreme potrebbe essere la chiave per nuove applicazioni scientifiche".

giovedì 15 aprile 2010

NUOVA MOLECOLA PER LA RILEVAZIONE DEI METALLI

Ouroborand, la molecola mangia-coda

Due chimici dello The Scripps Research Institute hanno ottenuto un nuovo strumento scientifico su scala nanometrica, un piccolo interruttore molecolare che si accende e spegne quando rileva ioni metallici nelle immediate vicinanze. La notizia è sulla copertina del numero del 19 aprile 2010 della rivista Angewandte Chemie.
Questa molecola può essere uno strumento di laboratorio per il controllo delle reazioni in provetta, e può essere la base di una nuova tecnologia che potrebbe rilevare in maniera sensibile metalli, tossine, e di altri inquinanti in aria, acqua o suolo.



La molecola si chiama "ouroborand" dal nome del mitico Ouroboros il simbolo molto antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio. È un simbolo associato all'alchimia. Nel laboratorio di Scripps Research, dove è stato inventato, la molecola ouroborand è un interruttore si “accende” o “spegne” quando rileva i metalli.



Questo passaggio è possibile perché la molecola presenta le due estremità che ricordano l’Ouroboros:

"Quando non sono presenti i metalli, la coda della molecola si svolge all'interno della cavità presente sull’altra estremità", dice Julius Rebek, Ph.D., direttore dell'Istituto per Skaggs Chemical Biology presso lo Scripps Research. In presenza di ioni di zinco o altro metallo, il legame che collega la testa e la coda si apre. Rimuovendo il metallo, e la coda si lega di nuovo all'altra estremità della molecola.



Quando Rebek e il suo compagno Fabien Durola hanno sintetizzato la molecola e hanno deciso di chiamarla ouroborand hanno fatto una sorta di ritorno ai sogni dei chimici e alchimisti di molto tempo fa. Nel Medioevo e nel Rinascimento, il mitico Ouroboros era un simbolo usato in alchimia, l'antica pratica che è stata il precursore della chimica moderna.

PFAS COME EIMINARLI DALL'ACQUA POTABILE

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